Ma che, davvero?

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"Donne, il padrone sono io". La faccia oscura del Made in Italy: il caso Max Mara, il ritorno ai "padroni delle Ferriere" e i ricatti economici

"Donne, il padrone sono io". La faccia oscura del Made in Italy: il caso Max Mara, il ritorno ai "padroni delle Ferriere" e i ricatti economici

La denuncia mediatica delle lavoratrici della Manifattura San Maurizio, controllata da Max Mara, ha rivelato scoperchiato un vaso di Pandora. La reazione del Gruppo, però, è davvero preoccupante.

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Charlotte Matteini
lug 03, 2025
∙ A pagamento
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"Donne, il padrone sono io". La faccia oscura del Made in Italy: il caso Max Mara, il ritorno ai "padroni delle Ferriere" e i ricatti economici
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"Ci hanno chiamato mucche da mungere. Ci hanno detto che siamo grasse, obese, ci hanno pure consigliato esercizi da fare a casa per dimagrire. Ci pagano praticamente a cottimo e controllano anche quante volte andiamo in bagno, ma siamo tutte donne e tutte abbiamo il ciclo. È disumano e vogliamo che questa cosa finisca".

Sono passate circa tre settimane dalle dichiarazioni dirompenti delle lavoratrici della Manifattura San Maurizio di Reggio Emilia, controllata dal Gruppo Max Mara. Dopo anni di vessazioni e mancata applicazione del contratto nazionale di lavoro, per la prima volta hanno deciso di parlare e hanno raccontato a Il Fatto Quotidiano le condizioni professionali da incubo a cui sono sottoposte, annunciando per la prima volta in decenni di storia aziendale uno sciopero di due giornate proclamato assieme alla Filctem Cgil.

“Lavoriamo qui da oltre 20 anni – raccontano – Siamo pagate a cottimo, anche se l’azienda evita di definirlo così ufficialmente. Per guadagnare qualcosa in più dobbiamo produrre il massimo possibile, le pause, ci dicono, le dobbiamo ‘recuperare’ lavorando più in fretta”. Tutto questo ha un prezzo: “La nostra salute. La maggior parte di noi ha ormai problemi fisici seri: spalle, tendini, tunnel carpale, cervicale… arriviamo alla pensione che siamo rotte”. Al centro delle rivendicazioni, c’è la mancata applicazione del contratto nazionale del Tessile Industria da parte dell’azienda del Gruppo Max Mara, che preferisce un regolamento aziendale interno.

Il Fatto Quotidiano

Da un lato un colosso da 1,8 miliardi di fatturato; dall’altro le rivendicazioni delle operaie che lavorano di fatto a cottimo a 1.300 euro al mese per produrre capi da migliaia di euro indossati dalle celebrities di tutto il mondo e non solo.

Quello delle lavoratrici di Max Mara è un caso che ha indubbiamente fatto rumore ma non esattamente il botto mediatico che ci si sarebbe aspettati da una denuncia così pesante e che riguarda un’azienda di moda considerata un’eccellenza del Made in Italy, un fiore all’occhiello che da sempre, storicamente, gode di una reputazione incrollabile e di ampia copertura stampa sempre attenta a non indagare troppo a fondo sugli investitori pubblicitari.

Sì, riprese dell’inchiesta del FQ ce ne sono state in queste settimane, i giornali la notizia l’hanno trattata, ma stando bene attenti a non disturbare troppo il gruppo. Gruppo che ora, indispettito dalla portata mediatica e politica della denuncia, anziché fare dietrofront, chiedere scusa e riparare agli errori commessi, punta i piedi e decide di comportarsi come fosse un ragazzino delle medie in stile “il pallone è mio e me lo porto via”.

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