Qualche anticipazione su "Gli italiani non hanno più voglia di lavorare (e hanno ragione"
Come nasce, come si sviluppa e perché questo testo per me è molto importante.
Qualche giorno fa ho annunciato l’uscita del mio primo libro intitolato “Gli italiani non hanno più voglia di lavorare (e hanno ragione)” - edito da Cairo Editore, disponibile in libreria dal prossimo 4 aprile e in preordine qui.
Come si può già intuire dal titolo, è un libro dedicato al mondo del lavoro e ha un obiettivo forse anche troppo ambizioso: decostruire una narrazione mediatica che da troppi anni vuole insistentemente difendere una classe imprenditoriale ferocemente abbarbicata a convinzioni di 50 anni fa e dipingere i lavoratori italiani come l’origine dei mali e delle storture del Belpaese.
Il libro nasce dall’esigenza di fornire uno strumento di contraddittorio che da decenni manca in questo Paese, ovvero dare voce ai lavoratori, a chi determinate condizioni al limite, se non oltre, lo sfruttamento le ha subite e le subisce ogni giorno da anni, anche complice una classe politica sorda e cieca alle esigenze di una classe lavoratrice costretta a lavorare per salari e condizioni ormai insufficienti a consentire di vivere un’esistenza libera e dignitosa.
Come spiego nell’introduzione del libro:
“Da anni leggiamo sui giornali che in Italia nessuno sembra aver più voglia di lavorare, specialmente i giovani. E’ un refrain talmente diffuso da essere diventato ormai una sorta di nuovo filone narrativo a cui media, politica e associazioni datoriali si aggrappano disperatamente per evitare di guardare in faccia la realtà del mondo del lavoro italiano, che è andato a deteriorarsi nel corso degli ultimi vent’anni a causa, soprattutto, di due principali fattori: politiche del lavoro e una radicata mentalità che continua a considerare i lavoratori come un mero costo da comprimere il più possibile.
Di sfruttamento e delle condizioni del mondo del lavoro italiano ho iniziato a occuparmi ormai un bel po’ di anni fa e nel corso di questo decennio mi sono trovata molto spesso ad approfondire lo stato del mondo del lavoro italiano attraverso inchieste e analisi di dati. La situazione che emerge è oggettivamente disastrosa, senza usare troppi giri di parole, ma sembra non ci sia una vera consapevolezza di quanto sia pervasivo il fenomeno dello sfruttamento nel mondo del lavoro in Italia.
Non solo lavoro nero e lavoro sommerso, gli abusi dovuti alla precarizzazione del lavoro in Italia sono di fatto sistematici e sistemici in ogni settore, nessuno escluso. Con “Gli italiani non hanno voglia di lavorare. E hanno ragione” vorrei provare a tracciare un quadro del cosiddetto “stato dell’arte” per mostrare, attraverso una raccolta di approfondimenti su vari settori, quali siano le condizioni di abuso più ricorrenti e come di fatto la cosiddetta “flexicurity” abbia portato negli ultimi trent’anni non certo a un miglioramento delle condizioni per i lavoratori italiani, ma anzi all’esatto opposto: perdita di diritti, di salari e di dignità professionale. Il tutto in netto contrasto con quanto invece osserviamo nei Paesi Ue con economia comparabili alla nostra”.
Questo libro però non vuole essere un classico saggio accademico ma anche e soprattutto un “manuale di auto-aiuto” che possa essere utile ai tanti lavoratori che ogni giorno si trovano a dover subire condizioni professionali poco dignitose. Ogni capitolo del libro infatti è corredato dalla spiegazione delle norme di base che ogni persona che si interfaccia con il mondo del lavoro dovrebbe conoscere per evitare di incappare in situazioni di sfruttamento, perché credo che solo attraverso la conoscenza si possa creare un’effettiva coscienza di classe fondamentale per sovvertire - ed è un termine scelto con cura - l’attuale situazione socio-economica.
Ho fortemente voluto dare al testo questo taglio "più didattico” perché soprattutto quando sono approdata su Tik Tok un paio di anni fa per fare divulgazione su questo tema così difficile mi sono resa conto che molte norme che io ho sempre dato per scontato che le persone conoscessero - banale esempio: le prove in nero sono illegali - in realtà così scontate non sono e, anzi, moltissimi giovani e meno giovani sono purtroppo convinti, complice la capillare diffusione di irregolarità di ogni tipo, che siano consentite dalla legge.
Concludo queste anticipazioni allegandovi l’indice del libro con qualche riga di spiegazione. Ogni capitolo dedicato a un settore specifico ha in coda i cosiddetti “highlights” con la sintesi delle norme basilari più importanti da conoscere.
Introduzione
Panoramica sul quadro normativo che ci ha portato alla situazione odierna corredata da una chiacchierata con l’avvocato giuslavorista Domenico Tambasco.
1. Nessuno ha più voglia di lavorare in Italia: storia di una leggenda metropolitana dura a morire
Attraverso la ricerca negli archivi storici dei principali quotidiani italiani, racconto della narrazione mediatica che da decenni si scaglia contro i giovani di ogni generazione, accusati di non aver voglia di lavorare. Le stesse generazioni accusate di essere fannullone dai loro predecessori si trasformano negli anni negli aguzzini dei nuovi giovani. Una storia che si ripete sin dall’inizio del ‘900 (almeno).
2. Nessuno ha più voglia di lavorare in Italia: la narrazione mediatica ai giorni nostri
Carrellata di articoli e interviste a imprenditori che si lamentano di non riuscire a trovare personale pubblicati tra il 2021 e il 2024, con relativi debunking che spiegano i reali motivi per cui non riescono a trovare lavoratori.
3. La ristorazione
Storie e testimonianze di lavoratori della ristorazione e turismo che raccontano le condizioni tipiche che si possono trovare nelle imprese di settore, tra contratti in nero, straordinari non retribuiti, condizioni irregolari, mobbing e bullismo. Citazione dei dati del rapporto nazionale INL che identifica questo settore come quello a più alto tasso di irregolarità in Italia.
4. Il commercio
Storie e testimonianze di lavoratori del commercio, sia piccoli negozi al dettaglio che grandi catene, tra lavoro irregolare, turni allucinanti e precariato. Focus sulla vendita assistita e i target pressanti che i lavoratori sono costretti a raggiungere ogni giorno pena il mancato rinnovo del contratto a termine.
5. La Gdo
Testimonianze di lavoratori del settore della grande distribuzione organizzata, tra turni folli, grande ricorso a subappalti per risparmiare (e relative inchieste sul caporalato condotte dal Pm Paolo Storari di Milano), contratti a termine con nessuna prospettiva di assunzione utilizzati come grimaldello per aumentare la produttività.
6. Professioni intellettuali e finte P.Iva
Dal settore della comunicazione al giornalismo, passando per quello dell’architettura e dell’avvocatura, veterinaria, assicurativi, agenti immobiliari e molti altri: il ricorso a forme contrattuali prive di qualsiasi tipo di diritto e tutela la fa da padrone, proprio e soprattutto tra le professioni intellettuali che nell’immaginario dei più sono considerate “al riparo” da determinate storture.
7. Stage e abusi: storia di una gavetta (irregolare) che non ha mai fine
In Italia una delle costanti imprenditoriali è la ricerca di ogni modalità per comprimere il più possibile il costo del lavoro. A questo scopo lo stage molto spesso è considerato lo strumento perfetto, non prevedendo né minimi retribuitivi paragonabili a veri e propri stipendi né versamenti contributivi o, addirittura, prevedendo fondi pubblici regionali a cui attingere per pagare ancor meno il tirocinante. Nonostante esistano delle normative chiare, purtroppo molti giovani non sanno che quanto viene proposto loro molto spesso è un abuso.
8. Autotrasporti e scioperi
Questo è un capitolo che inizialmente non era previsto ma ho voluto aggiungerlo in corsa perché la situazione del trasporto pubblico, che impatta su moltissimi pendolari e lavoratori, è forse tra quelle peggiori e merita un approfondimento affinché le persone capiscano per quale motivo da anni si susseguono gli scioperi dei lavoratori del settore e che non sono così frequenti perché “non hanno voglia di lavorare nel weekend”.
Conclusioni
Ciao Charlotte,
stamattina ho letto il tuo libro.
Ero a Bologna in aula bunker, udienza fissata per le nove e trenta, decine di avvocati convocati tutti alla stessa ora. Precedenza ai detenuti, poi le videoudienze e infine i presenti. Sono stato chiamato alle 15.15. Sono ormai pratico di queste cose, e mi ero preso qualcosa da leggere … il tuo libro, che è interessante, prova ne sia che sento la necessità di fare alcune osservazioni.
Anzitutto anche chi non è schiavizzato da un datore di lavoro, anche chi non ha una finta P. IVA può trovarsi obbligato a buttare ore e ore (ho preso il treno stamattina alle 7.40, sono sceso al ritorno alle 16.46 …) per una attività che non sarà mai pagata per il suo reale ed effettivo impegno. Sarebbe bastato scaglionare le convocazioni, ma sarebbe stato poi troppo facile …
A me non è consentito, ma per quanto ho sentito in questi oltre sessanta anni a molti dipendenti casca il cacciavite (o la penna) allo scoccare della sesta o ottava ora. Un amico – ho anche amici così, in regioni molto polarizzate e sindacalizzate come la mia è frequente … - addirittura la teneva faticosamente al mattino per poterla fare (a spese del padrone) tranquillamente seduto nel bagno della fabbrica …
Sempre preliminarmente, una regola della comunicazione che ho appreso tempo chiede che per facilitare la comprensione le sigle vadano “sciolte” al loro primo comparire. Ho dovuto cercarmi su internet – non su Google, che come puoi desumere dal provider di posta che utilizzo non mi entusiasma – cosa significasse KPI, RAL, INAPP … Solo alla fine della lettura ho visto che prevedevi anche un glossario, dove però non c’erano proprio tutte.
Passando al merito, dici che è sconcertante vedere come i figli che in passato venivano bollati come fannulloni o choosy ora - da padri o nonni – rimproverano le stesse cose ai giovani… Non sarà che hanno maturato consapevolezze diverse ? E’ davvero impossibile cambiare idea e accettare di aver sbagliato ?
Parli con entusiasmo di fact-checking … ma le opinioni che hai riportato (Fabio, Margherita, Cristina …) non mi paiono rigorosamente fact-checked. Mi viene in mente l’impressionante numero di coloro che “non arrivano a fine mese”, secondo dati oggettivi quali … la loro personale percezione di cosa dovrebbero ancora ritrovarsi in tasca il 29 o il 30.
Poi ci sono quelli che partono lancia in resta per andare a guidare tram a Milano, pensando di portarsi dietro altre quattro o cinque persone, senza rendersi conto delle differenze nel costo della vita che TUTTI conoscono. Un po’ come quegli universitari fuori sede che reclamano studentati e stanze a buon mercato (da proprietari immobiliari cui la repubblica impone di accollarsi una buona fetta di welfare abitativo …) ignorando e trascurando le sedi universitarie costituite vicino casa (ho visto in tv cassinesi che disprezzano l’Unìversità di Cassino, ad esempio, e passano il tempo a Milano a sbucciare verdura per pagarsi la stanza nella capitale morale … lagnandosi di non poter studiare).
Il Fatto è sempre molto attento – come i 5S – all’onestà e al rispetto delle regole. Tema nobile: l’evasione fiscale. I cattivi sono sempre “gli autonomi”, “le big companies”, gli altri insomma. Ma le stagiste o altro che prendono 500 in bianco e 1000 in nero, restando così sottosoglia per la dichiarazione dei redditi ma entrosoglia per i dati sulla povertà, non sono consapevoli di frodare il fisco ?
E il whistleblowing, ci si aspetta sempre che lo facciano gli altri ?
Intanto queste/i sfruttati superano in scioltezza nelle graduatorie chi ha degli ISEE più alti dei loro…
Certo che c’è ben altro, come diceva il paladino del benaltrismo Gigino Di Maio.
Ma se non si comincia non si finisce, se non si parte non si arriva.
E tocca a tutti fare qualche passo.
O almeno dovrebbe.
V.G.
Non vedo l’ora di leggerlo!!