L'annuncio illegale dello Chef Cappuccio e il Corriere della Sera che corre in suo soccorso (e i grandi giornali che mi fregano la notizia senza citare la fonte, come al solito)
Cronaca di quella che non è altro che l'ennesima ordinaria dimostrazione di quanto in questo Paese il vero problema sia il giornalismo italiano, più che il cattivo chef di turno
Sarà una puntata di newsletter particolarmente incazzosa. E no, non sarà tanto contro lo chef autore dell’ennesimo allucinante annuncio di lavoro di m***a, ma contro un sistema, quello mediatico, che ancora una volta non perde occasione per fare vilipendio della professione.
Ore 11:20 del 7 luglio 2025, apro i Dm e mi trovo una segnalazione particolare. Si tratta dell’annuncio dello chef stellato Paolo Cappuccio, che su Facebook ha pubblicato tre giorni prima un’offerta di lavoro scritta in un italiano particolarmente creativo, completamente discriminatoria e pertanto illegale ai sensi del Codice delle Pari Opportunità.
“Seleziono chef con brigata per hotel 4 stelle in Trentino. Da dicembre a fine marzo. Chef più 3 capo partita ed 1 pasticcere. Per info in privato. Grazie. Evitate di farmi perdere tempo. Sono esclusi: Comunisti/fancazzisti; Masterchef del cazzo ed affini, persone con problemi problematiche di alcol, droghe e di orientamento sessuale. Quindi se eventualmente resta qualche soggetto più o meno normale… Persone referenziate se rimangono ben volentieri. Evitate di commentare cazzate sarete automaticamente bruciate".
Ore 11.31 del 7 luglio 2025: faccio lo screenshot dell’annuncio e decido di pubblicarlo su Twitter (sì, si chiama X, lo so, ma non mi piace chiamarlo così) senza aggiungere grandi commenti e senza oscurare il nome, perché sono perfettamente conscia del fatto che quell’annuncio parli da solo e perché sono anche dell’idea che chi scrive cose simili sui social, ovvero in pubblico, debba prendersi le responsabilità delle proprie azioni.
Tempo qualche ora, il mio post diventa virale ovunque sui social, sotto il tweet si scatena un dibattito (se volete leggere i commenti vi prego di munirvi di Maalox perché ci vuole davvero pelo sullo stomaco per reggere alle invettive di chi per l’ennesima volta ha deciso di difendere l’indifendibile). Fino a qui tutto bene, normale amministrazione.
A distanza di circa 24 ore, come ogni santa volta accade, quella piccola, miserabile notizia che non si era calcolato nessuno fino a qualche ora prima, viene ripresa da praticamente tutte le maggiori testate italiane. Peccato che nessuno si sia preso la pena di segnalare correttamente la fonte della polemica: la sottoscritta. Che sbadati. E voi starete pensando “ma quanto te la meni”. E vi fermo subito: il giornalismo vive di notizie, i giornalisti vivono di notizie e le notizie diventano tali solo quando arriva qualcuno che intercetta il fatterello, ne comprende la potenziale notiziabilità e lo diffonde.
Ecco, buona norma nella professione prevede che quando qualcuno riprende una notizia scovata da qualcun altro, che sia un collega o un normalissimo utente social, è tenuto a segnalare la fonte. E siccome il mio post su X ha avuto grande risonanza ore prima della pubblicazione di tutti gli articoli usciti oggi, articoli che sono tutti corredati dallo screenshot che io ho fatto e io ho diffuso ieri mattina, vedere per l’ennesima volta i grandissimi e blasonatissimi giornali italiani saccheggiare il mio profilo social alla ricerca di un qualcosa da sbattere in pagina senza nemmeno fare lo sforzo di segnalare al lettore da dove è partita la polemica di cui si racconta nel pezzo è un atteggiamento deontologicamente scorretto. E vigliacco. Soprattutto, chi mi segue da tempo sa perfettamente che questa non è la prima volta che capita, ma l’ennesima. E dunque è necessario l’ennesimo reminder per questi colleghi che ancora non hanno studiato a fondo come si opera in maniera corretta.
Ma bando alle ciance, perché in questa newsletter vorrei mostrarvi come, per l’ennesima volta anche in questo caso, il sistema giornalistico è corso in soccorso dell’ennesimo rappresentante della italica ristorazione che si lamenta di non riuscire a trovare personale partorendo un articolo che definire un capolavoro di piaggeria e di cortigianeria è un complimento. Ma diciamo che questa non è affatto una novità, ne ho ampiamente parlato nel mio libro “Gli italiani non hanno più voglia di lavorare (e hanno ragione). Che sì, è edito dallo stesso editore del Corriere della Sera. Ironia della sorte.
Analizziamo passo per passo questo pezzo, perché vi assicuro che è un esercizio istruttivo.
“Trentino, chef cerca cuochi: «Ma non comunisti o con problemi di orientamento sessuale». È bufera”, titola Il Corriere della Sera, puntualizzando nel catenaccio: “Il post dello chef Paolo Cappuccio per reperire personale per il ristorante di un hotel 4 stelle ha sollevato polemiche. «Se ho urtato la sensibilità di qualcuno mi scuso»”.
Già da qui capiamo che questo non sarà assolutamente un articolo di mera cronaca con la versione dello chef, ma un pezzo costruito ad hoc per prendere le parti del povero titolare della cucina finito per caso in una bufera mediatica, senza alcuna ragione.
«Seleziono chef con brigata per hotel 4 stelle in Trentino». Un annuncio di lavoro come tanti, pubblicato venerdì con un post su Facebook da Paolo Cappuccio, tra i migliori cuochi al mondo. Tre posizioni da dicembre fino a marzo, per una nuova apertura in Val di Fassa, con stipendio «dai 2 ai 4 mila euro»: uno chef più tre capo partita e un pasticcere. E fin qui tutto tranquillo. Ma Cappuccio, napoletano, classe 1977, che con il ristorante gardesano «La casa degli Spiriti» arrivò al 149esimo posto ai Best Chef Awards 2017 ha voluto specificare gli «esclusi». Nell’ordine: «comunisti/fancazzisti», «persone con problemi di alcol, droghe e di orientamento sessuale». Poi la conclusione, prima che commenti e condivisioni dessero fuoco alle polveri: «Quindi se eventualmente resta qualche soggetto più o meno normale… ben volentieri». Ed è scoppiata la polemica, con Cappuccio che ha oscurato il post.
Fate ben attenzione alle parti che vi ho grassettato, perché non sono affatto casuali. Già nel primo paragrafo il cronista cerca di utilizzare qualsiasi espediente retorico per ridurre la polemica, condendo il tutto con una serie di elementi utili a spostare il focus del lettore dal contenuto dell’offerta pubblicata su Facebook allo stellare curriculum di uno dei cuochi migliori al mondo.
Il collega, poi, si guarda bene dal segnalare al lettore che quello di Cappuccio non è affatto un annuncio come tanti ma è un annuncio completamente illecito ai sensi di una normativa italiana: il Codice delle Pari Opportunità, che vieta ogni forma di discriminazione in fase di selezione e assunzione. E si dimentica anche di segnalare che Cappuccio annunci simili li ha già pubblicati in passato - come mi ha segnalato ieri La Moira su X (perché io le fonti le cito, sempre) - non è certo un unico scivolone commesso in buona fede, come invece cerca di farci credere l’intera costruzione dell’articolo.
Ma proseguiamo, perché arriva ovviamente la dichiarazione vittimistica, che funziona sempre molto bene quando si vuole cercare di uscire da una polemica che si è scatenata solo grazie alle proprie azioni.
«Ho ricevuto insulti, parolacce, minacce, “fascista, devi stare a testa in giù”. Stiamo ancora a parlare del fascismo di 100 anni fa con il mondo in guerra. Non ci bado, è gente che non passa il tempo a lavorare. Non ha commentato nessun lavoratore interessato». Lo chef non si tira indietro. «Dopo l’ennesima delusione cercavo collaboratori onesti, con un’idea chiara della loro posizione all’interno della società, della brigata, che si comportino bene. Perché sono stufo di persone che mi fanno perdere tempo, si mettono in malattia, non svolgono le proprie, mansioni o bruciano due infornate di pesce al sale, vogliono essere pagati ma non lavorare. I diritti sono sacrosanti, ma ci sono anche i doveri».
Un’accozzaglia di scusanti nemmeno così creative, dato che sono sentite e risentite ormai da anni. Ma non pago, il collega verga anche un altro bel paragrafo agiografico sulla carriera del poro Cappuccio ingiustamente criticato per non aver fatto nulla. Solo per aver pubblicato un annuncio come tanti. Un annuncio frutta della disperazione. Nulla di più. Tutta colpa del perbenismo della sinistra. E il cronista muto. Anzi, interpreta il ruolo dell’amanuense che scrive tutto ciò che gli viene detto senza ribattere, senza fare domande come, ad esempio, “Perché lavorare in albergo sta diventando una tragedia? Perché nessuno vuole più lavorare in questo settore? Non sarà a causa dell’ambiente tossico che la fa da padrone in moltissime strutture? Una tossicità che l’annuncio della discordia esprime perfettamente?”. No, troppo complesso.
Il poro Cappuccio non è affatto cattivo come sembra, però, attenzione. Lui, dichiara, assumerebbe anche delle persone con idee di sinistra volenterose e che si impegnano. E non ha nemmeno nulla contro i gay. Ha tanti amici gay con cui va perfino in vacanza assieme, ma a lui non piacciono le persone non etero che si esibiscono in modo molto eccessivo. E anche qui, il cronista scrive tutto senza avanzare mezza domanda. Mezzo dubbio. Come fosse tutto normale. Ma dopo tutto, cosa ci si può aspettare da chi pubblica un articolo senza nemmeno spiegare ai propri lettori qual è il problema di quell’annuncio che ha fatto tanto indignare l’internet?
Ecco, se dovessi spiegare a qualcuno che cos’è davvero la propaganda, prenderei un articolo come questo per farlo. Perché è un plastico esempio che mostra in maniera lampante quanto la propaganda più pericolosa non è quella visibile a chiunque, ma è quella subdola messa in campo da un sistema giornalistico che ha da tempo abdicato al proprio ruolo sociale e culturale, sempre prone al padrone, che corre in soccorso del più forte e mai soccorre la parte debole. La celebre definizione del giornalismo come “cane da guardia del potere” potete scordarvela in Italia. A noi ci sono rimasti solamente i barboncini da compagnia.
«Ho ricevuto insulti, parolacce, minacce, “fascista, devi stare a testa in giù”. Stiamo ancora a parlare del fascismo di 100 anni fa con il mondo in guerra. "
Però chissà perchè il simbolo del fascismo (e pure quello del nazismo) se li è tatuati addosso, come provano le foto che lui stesso ha postato su Instagram, tanto sono un argomento da odiatori da tastiera indietro di 100 anni.
Altro punto: il giornalista non avrebbe il dovere di specificare che la stella è del ristorante, e non dello chef, e che l'ha presa 20 anni fa?
E magari sentire cosa ne pensano i titolari dei ristoranti in cui ha lavorato delle sue idee? (lo dico io che giornalista non sono e l'ho scoperto in tempo zero, figuriamoci quanto ci metteva il "giornalista" a fare uan telefonata: tutto il peggio possibile. il ristorante del Garda ha fatto un comunicato stampa specificando chiaramente che con quel signore non ha più a che fare da 10 anni e le sue idee non sono mai state condivise).
Solo in Italia viene data importanza a certi personaggi.